GAS (General Adaptation Syndrome)2020-07-20T16:11:10+00:00

GAS (GENERAL ADAPTATION SYNDROME)

Lo stress, cos’è?

Quotidianamente siamo messi di fronte a delle sfide, dobbiamo affrontare situazioni che ci mettono in difficoltà, ci mettono alla prova. Nel mondo del lavoro così come nel mondo dell’allenamento siamo chiamati a rispondere a degli “stressor” esterni. Lo “stress” fa parte della nostra vita, ma è sempre un male? E che cos’è lo “stress”? Il termine stress, da sempre utilizzato in ambito fisico per identificare la tensione a cui viene sottoposto un determinato materiale, viene introdotto in ambito medico da Hans Selye, medico austriaco che nella prima metà del XX secolo si dedicò a numerosi esperimenti sui ratti. Egli osservò dei sintomi quali ulcere e ingrossamento delle ghiandole surrenali in tutti gli esemplari sottoposti a temperature estreme, rumori forti oppure iniezioni giornaliere di soluzione fisiologica. Selye impiegò così il termine stress per indicare la “risposta non specifica dell’organismo a uno stimolo esterno (stressor)”.

Parlando di allenamento, lo stressor è rappresentato dalla nostra seduta di corsa, nuoto, sollevamento pesi o qualunque altra attività fisica dispendiosa. La risposta del nostro organismo a questi stressor viene spiegata con la teoria della GAS (General Adaptation Syndrome) che prevede 3 diversi stadi:

  1. Allarme: l’organismo reagisce allo stimolo con una risposta di tipo fight or flight. Aumentano la secrezione di cortisolo, adrenalina, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, il sistema nervoso simpatico prende il sopravvento e mobilizza tutte le proprie energie per combattere o fuggire. Questa reazione è molto rapida.
  2. Resistenza: l’organismo tende all’omeostasi, cerca di resistere per adattarsi. Questa è la fase che prevede (o almeno auspica) in noi un miglioramento. Ci alleniamo per portare la nostra zona di comfort ad un livello più alto: per provocare in noi lo stesso sintomo serve adesso uno stressor più forte. Tale fase può durare fino a diversi mesi.
  3. Esaurimento: l’organismo ha perso la sua battaglia in seguito a uno stressor troppo prolungato nel tempo. La capacità di resistere del nostro corpo diminuisce sempre di più all’aumentare della durata dello stimolo esterno, diminuzione che può essere direttamente dovuta allo stress oppure ad un inadeguato recupero psicofisico. L’atleta esperto sa che deve assolutamente evitare di entrare in questa fase, diminuendo saltuariamente l’intensità dell’esercizio fisico. Se giunti all’esaurimento, oltre al notevole calo prestazionale, c’è una impennata dell’incidenza di infortuni.

Lo stress quindi è una cosa negativa o positiva? In realtà entrambe. Si parla di eustress quando lo stimolo ha un effetto finale psicofisico positivo, viceversa si parla di distress. Nella pratica sportiva lo stimolo allenante deve essere periodizzato e somministrato con criterio: se tanto allenamento fa bene, troppo assolutamente no! La bravura del Coach risiede proprio in questo aspetto, riuscire a tenere i propri atleti nella fase di resistenza più a lungo possibile, prevedendo dei periodi di riposo per rigenerare corpo e mente, riducendo al minimo la possibilità di infortuni.

Perché la nostra performance migliora dopo uno stress?

La somministrazione di uno stimolo allenante (stressor) rompe il nostro equilibrio interno, la nostra omeostasi, portandoci ad un livello di performance superiore. Ma nello specifico che cosa andiamo a migliorare? Ebbene, attraverso l’allenamento con carico specifico noi miglioriamo due aspetti, strettamente legati fra loro:

  1. Sistema neuromuscolare: è il sistema che si occupa di coordinare i nostri movimenti (coordinazione inter-muscolare) e le singole fibre che costituiscono un unico muscolo (coordinazione intramuscolare).
  2. Sistema energetico: è il sistema che trasforma i substrati energetici in sostanze capaci di produrre lavoro meccanico.

Il nostro corpo è alla continua ricerca di equilibrio, punta alla sopravvivenza, ma allo stesso tempo è anche molto pigro: allenatevi e migliorerete, smettete di allenarvi e peggiorerete! Il beneficio psicofisico raggiunto con dura fatica non è definitivo, se il corpo non si scontra più con stressor esterni nel lungo periodo le vostre capacità tanto agognate sfumeranno. Le cattive notizie non finiscono qui: i miglioramenti neuromuscolari ed energetici si fanno sempre meno marcati con l’avanzare dell’esperienza di allenamento. Ciò significa che i nostri miglioramenti, che in principio saranno ottimi, si faranno via via minori, fino ad annullarsi: il carico esterno non produce più una risposta nel nostro organismo che si è perfettamente adattato. Le nostre performance stallano. Abbiamo raggiunto il nostro massimo potenziale? Assolutamente NO! È arrivato il momento di modificare il carico esterno attraverso una modulazione di volume e intensità piuttosto che l’impiego di nuovi schemi motori. Carichi unilaterali di allenamento portano rapidamente ad un ristagno.

 

Adattamento del sistema neuromuscolare

In via del tutto semplificata, possiamo dire che la componente neuromuscolare risulta essere alla base dello sviluppo delle capacità definite coordinative che ci consentono di risolvere situazioni che richiedono di agire molto rapidamente: migliori sono le nostre capacità coordinative e più velocemente saremo in grado di apprendere movimenti nuovi e difficili. Gli infanti e gli adolescenti presentano generalmente livelli di capacità molto più alti rispetto gli adulti, è questo il motivo per cui nello sport è opportuno lavorare sui bambini migliorando ulteriormente questo aspetto piuttosto che le capacità condizionali (forza, resistenza, velocità). Queste capacità sono profondamente legate alle capacità di apprendimento motorio, basate su meccanismi di recezione, elaborazione e archiviazione delle informazioni. Si tratta di un sistema di retroazione, ossia di feedback positivo-negativo: il nostro corpo avverte uno sbilanciamento in avanti? Invia subito un segnale al motoneurone della gamba per avanzare un passo e fermare una potenziale caduta.  L’allenamento contro resistenza determina un adattamento del sistema neuromuscolare in termini di frequenza e sincronizzazione di scarica elettrica delle unità motorie che compongono un muscolo: la forza di picco viene raggiunta in minor tempo e con più efficienza; aumenta l’eccitabilità dei motoneuroni, le unità che trasmettono l’impulso nervoso dal centro alla periferia e viceversa, inoltre migliora la velocità di conduzione dell’impulso stesso. L’allenamento di resistenza comporta invece un adattamento diverso e quasi opposto: reclutamento asincrono delle unità motorie. Significa che le unità motorie facenti parte dello stesso muscolo vengono reclutate in maniera alternata con il fine di garantire a ciascuna fibra degli intervalli di riposo, riducendone lo stress per protrarre l’attività per tempi più ampi. L’allenamento, in senso più generale e aspecifico, induce inoltre delle modifiche biologicamente positive al sistema neurale migliorando l’attività sensoriale, producendo ipertrofia della corteccia cerebrale e formando nuove cellule cerebrali, infine aumentando il numero dei neurotrasmettitori.

 

Adattamento del sistema energetico

La componente energetica è alla base del miglioramento delle capacità condizionali, ossia forza resistenza e velocità. L’allenamento deve essere mirato a  somministrare stimoli di carattere organico-muscolare, la componente neurale passa in secondo piano e lascia spazio a tutti quei sistemi che si occupano di trasformare l’energia chimica in energia meccanica consumando ATP. L’ATP (adenosintrifosfato) è la moneta energetica del nostro organismo, per produrre qualunque tipo di lavoro meccanico (cioè una contrazione muscolare) è necessario spendere ATP. Ci sono 3 possibili vie di produzione di ATP: la via anaerobica alattacida, non richiede la presenza di ossigeno e non produce acido lattico, viene impiegata principalmente nella trasformazione di energia in sforzi massimali di breve o brevissima durata; la via anerobica lattacida, non richiede la presenza di ossigeno e produce acido lattico come sottoprodotto del suo metabolismo, viene impiegata per sforzi massimali o submassimali che si protraggono per tempi relativamente brevi; la via aerobica, richiede ossigeno e non produce acido lattico, risulta essere la fonte principale di produzione di ATP per sforzi submassimali che si protraggono per tempi relativamente lunghi. È bene ricordare che queste 3 vie non risultano essere dei compartimenti stagni, ossia o funziona una o funziona l’altra, ma partecipano sempre contemporaneamente alla produzione di ATP in qualunque situazione, solamente in % diverse e variabili a seconda dell’intensità e durata del carico. La somministrazione di carichi intensivi di breve durata inducono ipertrofia, ossia un incremento della sezione trasversa dei fasci muscolari, incrementando così la forza contrattile a disposizione, aumenta inoltre la capacità del sistema anaerobico alattacido. Stimoli intensivi prolungati nel tempo inducono anch’essi ipertrofia ma in seguito ad una aumentata capacità delle riserve di glicogeno intramuscolare piuttosto che per un incremento delle proteine contrattili. Infine, stimoli estensivi tipicamente aerobici inducono un aumento delle capacità di riserva di glicogeno e grasso intramuscolare e un miglioramento del sistema cardiocircolatorio

“Every stress leaves an indelible scar, and the organism pays for its survival after a stressful situation by becoming a little older.”  Hans Selye.

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